Grazie presidente!

Ha testimoniato. E di questo non si può che essergli grati: poteva rifiutarsi ma ha deciso di comportarsi come un cittadino qualunque. Grazie Presidente Napolitano di aver raccontato cos’è avvenuto dietro alle continue stragi che hanno terrorizzato l’Italia vent’anni fa. Certo, la testimonianza avrebbe potuto essere fornita a porte aperte, di fronte a giornalisti e cittadini comuni, o almeno soltanto ai possessori dell’accredito stampa; non a porte chiuse col divieto di portare con sé qualunque strumento in grado di registrare le risposte date dal capo dello stato. Ma sarebbe ingiusto lamentarsi: Napolitano ha già fatto qualcosa che in pochi si aspettavano che facesse, e che invece è normale in qualsiasi paese democratico del mondo. Certo, Bill Clinton sul caso Lewinsky (una relazione extraconiugale, non un accordo fra stato e mafia) ha confessato di aver mentito in diretta televisiva a reti unificate, ma quelli sono americani, megalomani e grandeur. Noi, più modestamente, è già tanto se la verità la diciamo, come immaginiamo l’abbia detta Napolitano ieri. Dai resoconti apparsi sui giornali però, qualcosa non torna, facciamone un breve riassunto: nel 2012 il consigliere D’Ambrosio scrive a Giorgio Napolitano parlandogli di «indicibili accordi» e cosa fa il Presidente? Nulla: non gli chiede conto di questi accordi e nemmeno decide di interessarsene. Di lì a poco D’Ambrosio sarebbe morto e con lui anche gli «indicibili accordi» che aveva cercato di comunicare al Presidente. Crediamo alle parole di Napolitano, ovviamente, ma non neghiamo che questa ingenuità ci lasci alquanto perplessi: se uno dei miei più stretti collaboratori mi riferisse di «indicibili accordi» all’interno della redazione de La Voce che Stecca, come minimo gli chiederei chi abbia stretto questi accordi e in cosa consistano. Ripeto però: non lamentiamoci, poteva anche andare peggio. Non dobbiamo nemmeno lamentarci di coloro che si dicono preoccupati che la testimonianza di un capo dello stato in un processo per mafia diventi una consuetudine: ci auguriamo, perlomeno, che non diventi un’abitudine un Presidente della Camera che si faccia mettere sotto scacco dalla mafia, e con lui l’intero stato. Fidandosi della testimonianza resa ieri. La trattativa quindi non sarebbe un reciproco accordo fra le istituzioni e Cosa Nostra, bensì il grande ricatto perpetrato dai clan allo stato: o fate quello che vogliamo, oppure facciamo saltare tutto il sistema. L’ha detto anche Napolitano: se le istituzioni non avessero ceduto, la mafia avrebbe destabilizzato il paese. Speriamo che adesso, che ha fatto i conti con il suo passato, il presidente faccia anche i conti col suo presente, con i suoi 89 anni, col fatto che ha scelto tre premier incapaci di salvare questo paese, con i suoi moniti e, soprattutto, con la sua coscienza.

Tito G. Borsa

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