L’onda populista catalana

Con le recenti elezioni in Catalogna abbiamo avuto una grande lezione politica: nel momento stesso in cui le masse si mettono in testa un’idea, giusta o sbagliata che sia, andranno fino in fondo a questa idea costi quel che costi.
E che costi non poco lo dimostrano le 3000 aziende che hanno spostato la sede dalla Catalogna, il crollo del turismo e il rallentamento della crescita, senza parlare di un’indipendenza vera e propria, che toglierebbe all’economia catalana il primo mercato di sbocco, la Spagna evidentemente, e il secondo, l’Unione Europea, trasformando la Catalogna in un deserto economico.
Che l’indipendenza di regioni occidentali sviluppate in stati democratici sia una vera e propria follia completamente priva di senso è o dovrebbe essere considerazione chiara a tutti.
Tuttavia, queste sono solo parole fini a se stesse. Il punto vero è un altro. Com’è possibile, non tanto contrastare le richieste indipendentiste, che sono solo l’ultimo frutto velenoso del populismo, ma evitare che esso
 stesso degeneri nella dittatura della maggioranza e porti il popolo stesso l’autodistruzione?
Lo abbiamo visto in Venezuela e Argentina, dove, dopo aver votato con entusiasmo i populisti locali, il popolo stesso, avendone sperimentato le disastrose conseguenze, ha radicalmente cambiato idea, cacciando i peronisti in Argentina e scendendo in piazza per contrastare la fame lì dove la democrazia è stata contrastata, ossia in Venezuela.
Alla fine, il minimo comune denominatore dei casi citati è la storpiatura o la cancellazione dello stato di diritto. Proprio lo stato di diritto storicamente si è rivelato essere la via principale seguita per mettere un baluardo alle derive populiste contrarie al rispetto dei diritti e delle libertà umane, stato di diritto che impone anche al popolo, se necessario con l’uso della forza, il rispetto della legge costituzionale, ossia una legge suprema minimale e condivisa da tutti (pretendere che sia anche conosciuta da tutti forse è troppo) che garantisca i diritti basilari di chiunque.
In questo contesto, lo sfregio della costituzione spagnola, democraticamente e liberamente votata e ratificata da tutti gli spagnoli a partire dai catalani, denota chiaramente la deriva tendenzialmente illiberale di chi a suo tempo ha dichiarato l’indipendenza unilaterale.
Quanto a noi, la sufficienza con la quale viene considerata l’idea del rispetto della costituzione da parte dell’intellighenzia italiana, proprio nei confronti della vicenda catalana, la dice lunga sull’introiezione nella cultura del belpaese del concetto di stato di diritto.
Tornando alla Spagna, considerata la situazione di stallo, si presentano oggi tre possibili vie.
La prima è proseguire nello scontro: da un lato i catalani continueranno a volere l’indipendenza, dall’altro il governo di Madrid e le corti giudiziarie faranno rispettare la costituzione. Lo scontro verrebbe di fatto a solidificarsi, trasformando la Catalogna nei secondi Paesi Baschi.
Seconda possibilità: il governo centrale cede e riconosce l’indipendenza alla catalogna. Questo vorrebbe dire la violazione della costituzione spagnola e il via libera alla richiesta d’indipendenza anche di altre aree del paese, decretando così la morte dello stato spagnolo e atomizzando la penisola iberica in quello che sarebbe un vero e proprio ritorno al medioevo.
In ultimo, la Spagna potrebbe apportare una modifica alla propria carta costituzionale, rendendo possibile non l’indipendenza, ma una fortissima autonomia.
Questa è la strada che propongono i socialisti, è una via perfettamente costituzionale e alla fine è non solo la migliore scelta politica, ma anche la più efficiente forma di strutturazione di uno stato.
È auspicabile, ma poco probabile che questa sia intrapresa. Proprio il recente voto ha dimostrato come ci sia ormai uno zoccolo duro di catalani il cui unico intento è solo ed esclusivamente l’indipendenza e non l’autonomia.
Quindi, staremo a vedere, consapevoli come sempre che il popolo, il mitologico popolo è né più né meno che un soggetto politico alla pari di tutti gli altri, ma soprattutto estremamente fallibile quando, invece di usare la ragione, si trasforma nella folla di Manzoni.