Piazza Indipendenza: la colpa è di chi ha creato questo disastro

Al di là delle tifoserie, che come sempre annacquano la realtà, quanto accaduto a Roma in piazza Indipendenza giovedì mattina ha scoperchiato il vaso di Pandora di un sistema che non ha funzionato e che ancora non funziona, se si guarda la patata bollente che freneticamente si passano Prefettura e Campidoglio: la prefetta Paola Basilone, intervistata dal Corriere, ha definito lo sgombero un’«operazione di cleaning», ovvero di pulizia, mentre la sindaca Raggi ha replicato che «la Prefettura nei dati che ci ha comunicato il giorno dello sgombero non ha citato la presenza di 37 bambini. Siamo stati avvisati dello sgombero a poco più di 12 ore dall’inizio» e ha concluso riferendosi a un «vergognoso scaricabarile». Ad aumentare la tensione c’è stata una frase, ripresa da un videoreporter, di un dirigente del primo commissariato di Roma, Trevi-Campo Marzio, Francesco Zerilli: «Se tirano qualcosa spaccategli un braccio».
La domanda è una sola: com’è stato possibile ridursi a una situazione come questa? Il palazzo in questione, 11 piani e 32mila metri quadri, è occupato dal 2013 quando 500 migranti – in gran parte etiopi, eritrei e sudanesi – lo occupano con l’aiuto di alcuni membri dei centri sociali e dei movimenti per la casa.
Se occupare un immobile è sempre e comunque cosa che non va fatta, com’è possibile che nella capitale di uno Stato civile vi siano un centinaio di stabili occupati da 5mila famiglie? E con che coraggio ci lamentiamo però di queste occupazioni quando, per una diatriba fra Comune di Roma e Regione Lazio, dal 31 maggio scorso sono fermi 40,5 milioni di euro per «avviare l’attuazione del programma per l’emergenza abitativa»? Non stiamo parlando di clandestini, lo ripetiamo, ma di immigrati in gran parte rifugiati certificati, che quindi dovrebbero avere diritti e doveri dei cittadini italiani.
La situazione è molto più complessa di come le due tifoserie vorrebbero raccontarla: da una parte c’è chi dice che, molto semplicemente, gli immobili non si occupano e la polizia deve avere modo di sgomberarli con qualunque mezzo; dall’altra invece la tesi secondo cui gli stabili non utilizzati vanno occupati. La realtà non è esattamente nel mezzo, ma prende elementi da una parte e dall’altra: se frasi come quella delle braccia da spezzare sono da condannare (e infatti è astata aperta una preistruttoria disciplinare), non si può accusare tout court la polizia per aver risposto a una reazione violenta delle persone che si erano riversate in piazza Indipendenza.
La colpa è di chi ha permesso che una situazione come questa potesse accadere, mettiamocelo bene in testa: non è questione di buonismo o di razzismo, di stare dalla parte della polizia o dei rifugiati. Perché bisogna sempre ridurre questioni tutt’altro che semplici a dicotomie? Conciliare legalità e umanità è possibile, ma lo Stato deve avere un ruolo: la Germania ha investito 18 miliardi in 2 anni per un milione di profughi siriani, dando loro casa e scuola, e noi siamo qui ancora a disquisire di stabili occupati. Stiamo ancora qui a discutere sul peso di legalità e necessità, contrapponendole. Ci rendiamo conto di quanto siamo indietro?