Quel giorno a Pearl Harbor

«Don’t worry about it», questa fu la risposta del Tenente Pilota Kermit, alle 7:15, ai due addetti al radar che avvistarono alle ore 7:02 la prima ondata di aerei che si dirigevano verso di loro. Il Tenente riteneva che si trattasse di un gruppo di bombardieri americani di ritorno alla base, poiché lla rotta di avvicinamento di questi ultimi era la stessa degli aerei presenti sul radar.
Purtroppo, anche a causa dell’inesperienza, l’errore del Tenente Kermit portò alla disfatta della flotta americana nella base navale di Pearl Harbor, nelle Hawaii.

Era il 7 dicembre 1941 e nel giro di un’ora e un quarto si alzarono in volo dalle sei portaerei giapponesi 350 aerei in rotta per andare a bombardare la base navale. L’attacco aereo era diviso in due ondate, la prima partì alle 6:00 e la seconda alle 7:15, per fare in modo che la seconda ondata potesse organizzarsi per prendere in considerazione eventuali nuovi obiettivi non ancora bombardati. A supporto dell’attacco aereo, ad Ovest delle isole Hawaii, si stazionò un’intera flotta giapponese comprensiva di 2 corazzate, 2 incrociatori pesanti, 9 cacciatorpedinieri, 3 sommergibili, e 5 sommergibili tascabili, con un unico obiettivo, affondare le navi statunitensi che fossero riuscite a prendere il largo.

L’attacco giapponese fu guidato dall’ammiraglio Yamamoto, voluto da lui stesso che si compisse una domenica mattina a causa del rientro delle navi in porto nel Weekend, delle condizioni climatiche, ma soprattutto a causa della non totale presenza dei militari all’interno delle navi. D’altra parte la volontà di posizionare la base navale a Pearl Harbor fu del Presidente Roosevelt, difatti la flotta doveva rappresentare un deterrente e impedire ogni ulteriore progressiva avanzata giapponese, ma l’ammiraglio James Richardson non era del suo stesso parere, difatti riteneva la flotta troppo esposta agli attacchi giapponesi. E così fu.


Le perdite americane furono immense: 5 corazzate affondate e 3 danneggiate, 2 cacciatorpedinieri affondati e uno danneggiato, 3 incrociatori danneggiati, 188 aerei distrutti e 155 danneggiati. Ma le perdite peggiori furono dal punto di vista del personale: 2402 americani morti e 1247 feriti. I civili morti furono 57 e 35 feriti.
A differenza di ciò che pensava l’ammiraglio Yamamoto, non tutte le navi erano prive o quasi prive di equipaggio, difatti il bombardamento della corazzata USS Arizona, dovuto al rilascio di 4 bombe dai bombardieri giapponesi, comportò la morte di 1177 persone. A peggiorare la situazione giapponese fu la mancata dichiarazione di guerra agli Stati Uniti al momento del primo attacco, alle ore 7:50, tanto che il Presidente Roosevelt ordinò di perquisire immediatamente l’ambasciata giapponese trovando i funzionari che bruciavano i documenti ritenuti sensibili.

In serata, ad ormai attacco avvenuto e concluso, sei caccia americani impegnati in una missione di ricerca del nemico, al comando del Tenente Hebel, si portarono nell’isola di Oahu per atterrare, dopo aver informato le autorità a terra. Il contrammiraglio avvertì le postazioni difensive, tuttavia la contraerea americana aprì il fuoco, abbattendo quattro caccia e tra i 4 piloti morì anche il Tenente Hebel.
In seguito all’attacco del 7 dicembre, il Congresso degli Stati Uniti dichiarò guerra al Giappone il giorno successivo.