Sacrificare i propri diritti per un’illusione di sicurezza

Qualche giorno fa, abbiamo pubblicato la poesia «La Folla», nata dal momento storico, per certi versi tragico, che stiamo attraversando. Sono ormai passati due anni dall’inizio della pandemia di Covid-19, la sua gestione da parte dei governi è stata molto discutibile ma ancor più impressionante è stata la predisposizione delle masse a sacrificare i propri diritti costituzionali sull’altare della sicurezza. Di seguito proponiamo un commento verso per verso del componimento, a cura del suo autore Mohamed Niang.

Nella prima strofa riporto come la maggioranza della popolazione si comporti come «folla», ossia come una massa omologata e indistinta senza alcuna personalità da esplicare. Una massa che «non ha spirito né volontà», ossia senza fede, né autonomia di pensiero e facilmente si fa guidare dagli altri e soprattutto da chi governa, ribaltando così i ruoli tra controllore e controllato. La sua mancata indipendenza è ciò che la porta ad «incappare facilmente nella corruzione», ossia a permettere a un manipolo di uomini di valicare quei confini etici che diffondono ingiustizia e disuguaglianza, fino a sacrificare i propri diritti senza nemmeno rendersene conto.

Nella strofa successiva mi concentro su come le masse siano perfettamente abbindolabili e di come ripudino la realtà, abbandonandosi a chi promette loro chimere e illusioni. In fondo, le folle sanno che si tratta di menzogne, però è molto più accomodante non prendersi nessuna responsabilità e dare tutta la colpa al politico di turno, che avrebbe tradito le istanze, o per meglio dire gli umori del cosiddetto «popolo». L’arena politica si tramuta così irrimediabilmente in un luogo dove si affrontano tifoserie opposte, ma perfettamente identiche nei modi e nei fini. Sapendo ciò, alcuni politici possono massimizzare i loro obiettivi elettorali talvolta utilizzando anche una retorica qualunquista (ossia dire alle masse ciò che vogliono sentirsi dire). Comportandosi così, la folla è sostanzialmente «inabile al pensiero», ossia alla capacità critica di analizzare i fatti, senza farsi influenzare. Un esempio lampante è il completo assoggettamento nei confronti dei media e dei notiziari televisivi, di cui buona parte della popolazione si può dire palesemente vittima.

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Studio di un talk show televisivo. fonte

Nella terza strofa continuo nell’analisi della folla e di come essa sembri in balia di o di un incanto davvero potente, tale da sacrificare i propri diritti sociale per giustificare qualsiasi provvedimento che il governo di turno faccia passare, dimostrando codardia anziché coraggio. Nonostante il padrone di turno, che può essere un esecutivo autoritario oppure un’autorità sovranazionale come l’Unione Europea, pratichi misure vessatorie nei suoi confronti, la folla, intimorita da possibili ritorsioni, continua ad accettare lo status quo, facendo del presente l’unico dei mondi possibili. In questa modernità, la folla, complice anche la mancanza, per ragioni differenti, di grandi partiti di massa, che possano accoglierne le istanze, difficilmente acquista coraggio e si ribella a chi la sfrutta, nell’illusione di potersela cavare.

In quella successiva, parlo di come il padrone, ossia colui che detiene i grandi mezzi di produzione e di conseguenza il potere politico per imporre ciò che vuole sia fatto, è pienamente consapevole delle debolezze della folla e le sfrutta a proprio vantaggio, facendo uso di ciò che Gramsci, nei suoi Quaderni del carcere chiamava demagogia, ossia: «nel senso deteriore significa servirsi delle masse popolari, delle loro passioni sapientemente eccitate e nutrite, per i propri fini particolari, per le proprie piccole ambizioni». Nonostante tutti i soprusi che la folla subisce, nulla scalfisce la sua fedeltà e la sua ubbidienza, al contrario, tale è il livello di asservimento e soggezione, che è convinta del fatto, che «senza il suo carceriere, ella vita non avrà». Quante volte, infatti, sentiamo espressioni come «senza l’Unione Europa, l’Italia fallirebbe, nessuno comprerebbe più i suoi prodotti, ci sarebbe miseria e fame» eccetera… quando in realtà, tutte queste disgrazie succedono mentre si resta dento la gabbia europea. Questo metodo psicologico, con cui il padrone cerca di convincere il servo, che senza colui che lo opprime, non avrebbe nessuna possibilità di autodeterminazione è un metodo vecchio come il mondo, ma ahimè funziona ancora molto bene.

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Il Quarto Stato di Giuseppe Pelizza da Volpedo. Quando la folla si fece popolo. Fonte

Nella quinta strofa spiego come per la folla sia facile non avere un linguaggio proprio, ma ella fa uso del linguaggio e dei costumi del padrone. Questo fenomeno, relativamente recente, figlio soprattutto della nuova società dei costumi, è stato discusso molto bene negli anni 60’ da Pier Paolo Pasolini nei suoi «Scritti Corsari», dove fa notare, di come, in un passato relativamente recente, persino la dittatura fascista non era riuscita a soggiogare le masse, al punto d’impedire loro nel proprio focolaio di mostrare dissenso verso il regime. Oggi, invece, nella società aperta, globale, in cui vige il principio della concorrenza mercatistica, elevato a valore supremo, in apparenza non è affatto vietato dissentire, ma ciò è possibile nei confini stabiliti dal sistema capitalistico. Sostanzialmente le critiche che possono essere mosse al modello sono essenzialmente palliativi, che possono anche dare l’idea di essere importanti, e può anche darsi che possano essere condivisibili; ma si rivelano incapaci di portare a cambiamenti rilevanti dato il divieto assoluto di ripensare la struttura economica, dalla quale, come faceva notare Karl Marx, dipendono tutte le altre strutture. In fondo gli individui, i quali nella società liberale agiscono come singoli e praticamente mai come collettività, sono consapevoli delle gravi deficienze democratiche della struttura ma si illudono, anche a causa di una propaganda incessante da parte dei mass media borghesi, che non ci sia vita al di fuori del modello neoliberale, sposando pienamente il motto thatcheriano «There is no alternative», una menzogna, che viene ripetuta così tante volte, che finisce per essere ritenuta vera.

Per questi motivi, continuo nella strofa successiva, la libertà e l’uguaglianza sostanziale, ossia, come detto da Lelio Basso, la rimozione di quelle barriere che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, non potranno mai dirsi realizzate, siccome affinché ciò avvenga, ci vuole quella consapevolezza, quell’attivismo e quell’interesse verso la politica e la cosa pubblica di cui parlò un altro dei padri costituenti che hanno maggiormente contribuito alla Carta, Piero Calamandrei: «Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove; perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. ». Oggi invece, al contrario di come auspicato da Calamandrei, la disaffezione politica è maggiore rispetto ai tempi del giurista, con un popolo che invece d’informarsi davvero sulle leggi promulgate dai propri rappresentanti e su come queste possono impattare sulla vita pubblica di ciascuno, si affida solamente al medium di massa dalla quale, data l’esclusione preventiva di tutte quelle notizie che potrebbero causare critiche e malumori verso il sistema capitalistico, non otterrà altro che mezze verità, omissioni o peggio ancora falsità conclamate, propedeutiche a indurli a sacrificare i propri diritti per l’illusione della sicurezza.

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Il Padre Costituente Piero Calamandrei. Fonte

Nella penultima strofa, ricordo di come, seppur le masse ebbero movimenti sociali e partiti che si batterono per i diritti e le istanze delle classi lavoratrici, appena questi partiti popolari, complice la dissoluzione dell’Unione sovietica, si sciolsero, tutto il lavoro di queste organizzazioni, frutto di quasi un secolo di lotte, fu nel giro di qualche decennio smantellato, riformando i settori del lavoro e limitando l’intervento statale in materia economica. Oltretutto riuscendo ad attuare quelle rivolte che indeboliscono le garanzie costituzionali come: l’alterazione del bicameralismo perfetto, l’introduzione di sistemi elettorali non proporzionali e infine la progressiva diminuzione, dell’importanza del parlamento in favore dell’esecutivo.

Concludo la poesia augurandomi che le classi lavoratrici possano finalmente acquisire consapevolezza della propria condizione e dei propri mezzi; oltre che dell’importanza di quella Costituzione, nata dopo una guerra civile durissima, che contò più di centomila morti. Inoltre, auguro che questo periodo in cui i cittadini sono messi in condizione di sacrificare i propri diritti più basilari, a partire da quello del lavoro, elemento fondativo della Repubblica, possa essere l’occasione di una riscoperta dei valori costituzionali, attraverso un rinnovato interesse per l’azione politica e per una nuova lotta consapevole per la libertà di pensiero di tutti.