Vauro: quando la satira funziona

la satira ha ancora il potere di indignare? Può darsi, se guardiamo a quanto sta accadendo attorno a Vauro, vignettista del Fatto Quotidiano ed ex collaboratore di altre importanti testate italiane: una sua vignetta, che riportiamo, sulle molestie subite dalle donne di Colonia a capodanno sta scatenando un putiferio sui social network. «Sei un porco», gli scrive Lino su Facebook. Questa è solo una voce di un coro che canta in varie tonalità: dal «Fai la iena sulle disgrazie altrui» di Nicola al «Meriti la castrazione. Tu e i tuoi amici pro-islam» di Maura, passando per il «Ti auguro di andartene presto tra i peggiori dolori», «Per colpa di quelli come te rivorrei il fascismo in Italia» e infine, firmato da tale Mauro, un sorprendente insulto: «Tubercoloso».

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Checché ne dica qualche utente, il senso della vignetta di Vauro è evidente e non si tratta di «scherzare sugli stupri», bensì di mettere in mostra le tante contraddizioni che noi occidentali ci portiamo appresso. La satira non deve sempre far ridere: l’obiettivo primario è quello di sconvolgere e con questo portare a una riflessione. Questa vignetta ha centrato il bersaglio, come del resto aveva fatto quella natalizia raffigurante un presepe con due Giuseppe ai lati del Bambin Gesù per festeggiare la legalizzazione delle unioni per le coppie
same-sex in Grecia.
Ora, escludendo l’idiozia come punto di partenza di un ragionamento sensato e razionale, al lettore e all’utente Facebook si pongono davanti due diverse alternative: la prima consiste nel
fregarsene, non frequentare il profilo di chi non sa apprezzare o non capisce; la seconda invece – la più costruttiva – impone al malcapitato di aprire la mente e capire il senso di ciò che ha davanti. Se poi gli fa schifo comunque, può sempre scegliere la prima opzione. È invece insensato attaccare «a prescindere» un personaggio, solo per il gusto di appartenere al gruppo dei bastiancontrari. L’utente non fa certo una bella figura a dichiararsi «Charlie» e poi, un anno dopo, insultare un vignettista solo perché fa satira su un fatto molto grave. Evitare di farla significa autocensurarsi e questa è una bestemmia per un artista.