Strage di via D’Amelio: le ingerenze dei servizi segreti – parte 7

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Anche il procuratore Giordano, all’epoca applicato e poi procuratore aggiunto a fianco proprio di Tinebra nell’indagine su Via D’Amelio, dichiara ciò che è confermato da Petralia, ovvero che i contatti con gli uomini del Sisde ci sono e che, addirittura, ci fu un incontro nell’ufficio di Tinebra tra Contrada e Tinebra, e il tema dell’incontro riguardava le azioni da compiere per contrastare la criminalità organizzata.

GIORDANO. «Io non mi ricordo se fui chiamato oppure entrai casualmente nella stanza del dottor Tinebra, e c’era questo funzionario, forse era accompagnato da qualche altro funzionario, e la discussione verteva sulle attività dei servizi nella lotta contro la mafia… si parlò di questo, diciamo, cattura di latitanti nel contrasto alle organizzazioni mafiose…».

A differenza di Petralia, che dichiara che al pranzo con i Servizi era presente anche Giordano, quaest’ultimo dichiara, invece, il contrario. 

GIORDANO. «Io non ho mai partecipato a pranzi, a riunione conviviali coi Servizi…nella maniera più assoluta. Lui si sbaglia. Io ricordo solo questa riunione, questa visita di Contrada nell’ufficio di Tinebra e basta. Poi non so altro».

Alla domanda di Fava se sapesse che Contrada era indagato, Giordano risponde che non lo sapeva e che fu un «fulmine a ciel sereno l’arresto»

GIORDANO. «Ho un ricordo preciso, fu un fulmine a ciel sereno questo arresto, perché noi non avevamo nessuna contezza… Poi, dopo molto tempo, abbiamo ricostruito le dichiarazioni di Mutolo, Paolo Borsellino che sentiva Mutolo e in cui praticamente si cominciò a parlare di Contrada come uno dei personaggi coinvolti nei contatti con le organizzazioni criminali… ma in quel momento noi, almeno io personalmente non seppi nulla…».

Per ciò che riguarda la forzatura dei Servizi Segreti sulle prime indicazioni che vedono Scarantino come responsabile, Giordano dichiara che in una riunione con La Barbera e altri personaggi, lo stesso La Barbera fa riferimento a Scarantino come un uomo chiave sull’indagine di Via D’Amelio. Difatti Giordano ricorda che La Barbera fece questo semplice collegamento «Scarantino-Profeta-Aglieri», il che significava che nonostante Scarantino non fosse ai vertici del Mandamento della Guadagna, era comunque un personaggio eccellente da catturare.

Tuttavia, c’è un motivo per cui il capo della Squadra Mobile di Palermo La Barbera decide di seguire le indicazioni che Contrada e Ruggeri fecero a Tinebra, e questo motivo si può riassumere in un’unica parola «Rutilius», ovvero il nome in codice di La Barbera durante gli anni, 1986-1988, della sua collaborazione con il SISDE. 

«Ad Arnaldo La Barbera fu affidata dal procuratore Tinebra(colui che, si ricorda, chiese a Ruggeri e Contrada di cominciare le indagini su Via D’Amelio) la costituzione di una task force investigativa, che avrà un ruolo determinante nella gestione dei tre falsi collaboratori di giustizia, Scarantino, Candurra e Valenti».

È proprio il ruolo di La Barbera e dei suoi uomini che rappresenta uno dei tratti più opachi dell’intera vicenda. 

Un appunto di particolare importanza è presente nella relazione della Commissione Antimafia. Viene riportato di seguito l’intera riflessione presente nella relazione, poiché non si riuscirebbe a sintetizzarla meglio di ciò che riesce ad esprimere.

«Di tanta solerzia da parte della  procura di Caltanissetta nel coinvolgere nelle indagini immediatamente, ed inopportunamente, un alto dirigente dei servizi (Bruno Contrada) e l’intero stato maggiore del SISDE non vi è traccia nei 57 giorni che trascorsero inutilmente, fra Capaci e via D’Amelio, senza che Paolo Borsellino venisse mai ascoltato da Tinebra e dai suoi sostituti. Si decise immediatamente (poche ore dopo la strage) di chiedere l’ausilio investigativo dei servizi segreti (tassativamente vietato dalla legge); si decise di dar credito alle improvvide ricostruzioni che il SISDE e La Barbera proposero sulla caratura criminale di Scarantino; si decise una scorciatoia investigativa che produrrà, due anni più tardi, il finto pentimento di Scarantino e il definitivo travisamento della realtà dei fatti. E si decise, al tempo stesso, di non utilizzare la collaborazione, le conoscenze, le intuizioni, l’esperienza e la cristallina buona fede del dottor Paolo Borsellino. Anche se di tutto ciò non vi sarà traccia nel processo in corso sul depistaggio, va sottolineato che quella scelta (dentro il SISDE, fuori Borsellino) resta una pagina oscura e una gravissima responsabilità che sarebbe riduttivo attribuire solo all’allora capo della procura di Caltanissetta. Del ruolo improprio del SISDE, a fianco di quella procura, molti seppero. E tutti tacquero. Come tacquero in quei 57 giorni in cui si ridusse il contributo di Paolo Borsellino a qualche chiacchiera informale a pranzo tra lui e un giovane sostituto applicato a Palermo».