Strage di via D’Amelio: le ingerenze dei servizi segreti – parte 9

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Tornando a La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo, colui che su incarico di Tinebra costituì una task force investigativa, è il Dott. Gozzo a precisare in Commissione antimafia quello che era il suo modus operandi, che ha portato ai falsi pentimenti di tre persone.

Gozzo. «Quello che è emerso immediatamente è il modus operandi… Del gruppo di persone che faceva capo La Barbera, un modo un po’ predatorio – diciamo così – di intendere la giustizia… come disse una collega, “La Barbera non fa prigionieri”, nel senso che quando è convinto che tu sia responsabile di qualcosa ti attribuisce una serie di piccole contestazioni fino a quando non arriva alla contestazione più grossa. Ed è effettivamente è quello che è successo in questo processo, nel senso che tutti questi sono stati incredibilmente inseriti in questa vicenda meramente  molto più grande di loro». 

La tecnica era quella di fare avvicinare in carcere i soggetti, le vittime sarebbe meglio dire, da altri detenuti che avevano avuto precedentemente problemi giudiziari con La Barbera o con persone di sua fiducia.

GOZZO. «Queste persone venivano detenute assieme e stimolavano i soggetti, se la vogliamo vedere in maniera positiva, a rivelare quello che sapevano veramente, se la vogliamo vedere negativamente, probabilmente anche a dire cose che non c’entravano. E questa è una tecnica che è stata utilizzata per tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda, non solo Scarantino, che viene avvicinato nel carcere di Venezia da tale Pipino. Lo stesso Candura subì lo stesso trattamento, e si trattava sempre di ex detenuti sulla base di indagini compiute da La Barbera». 

Il giorno successivo alla strage di Via D’Amelio il Dottor La Barbera e i suoi uomini, senza ancora aver avuto indicazioni da parte del Dottor Tinebra sulle informazioni scambiate con Contrada e Ruggeri, poiché Tinebera chiese l’aiuto a Contrada la mattina del 20 luglio (Contrada: «La mattina dopo, il 20 luglio 1992, ebbi una telefonata dal dottor Sergio Costa, funzionario di Polizia, commissario di Pubblica Sicurezza, aggregato… Nei ruoli del SISDE… Ed era il genero del Capo della Polizia Vincenzo Parisi… Il quale mi dice che, per incarico di suo suocero, il Capo della Polizia Parisi, ero pregato di andare dal Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra») e le indicazioni sulle indagini arrivarono la sera del giorno stesso (Contrada: «In quella occasione, e parlo della sera del 20 luglio, cioè 24 ore dopo la strage, io detti al Procuratore della Repubblica di Caltanissetta quelle che, a mio avviso, erano le direttrici di indagine, una delle direttrici di indagine, fondamentale. Gli dissi: «Guardi, signor Procuratore, ogni volta che a Palermo ci sono stragi con esplosivi, attentati dinamitardi, bombe, è interessata la famiglia Madonia»), cominciarono le indagini alle 11:00 partendo dalla carrozzeria di Giuseppe Orofino, poiché quest’ultimo aveva denunciato, appena un paio d’ore prima, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente all’interno della sua autofficina. Peccato che le targhe oggetto del furto furono ritrovate solo il giorno successivo nel luogo della strage, quindi come faceva La Barbera a sapere già dell’auto Fiat 126, ancora prima che ne venissero trovate le targhe e il blocco motore? Perché mandare la polizia scientifica in una carrozzeria per un banale furto di targhe?

Con l’arresto di Contrada, avvenuto all’incirca una settimana dopo il pranzo tra i vertici del SISDE e della Procura di Caltanissetta, viene interrotta la collaborazione fra la Procura di Caltanissetta e il SISDE, e si verifica anche la brusca interruzione dell’incarico che La Barbera aveva ricevuto.

In seguito all’arresto, La Barbera fu trasferito a Roma, ma a riportarlo a Roma e ad affidargli delle indagini investigative «ad personam» sono i pm della Procura di Caltanissetta: Ilde Boccassini e Fausto Cardella.