Virus, motore degli ecosistemi

Nel corso dell’ultimo mese, in Guinea, è stato rilevato un nuovo focolaio di ebola. Era dal 2016 che non se ne sentiva parlare. Quel che è certo è che non sarà l’ultima volta, siccome i virus non muoiono, ma si nascondono e mutano e noi come esseri umani dobbiamo imparare a conviverci. Sebbene la pandemia Covid-19 abbia limitato la disponibilità di risorse sanitarie in tutto il mondo, l’Organizzazione mondiale della sanità sta portando in Guinea dei vaccini per aiutare a contenere il nuovo focolaio di ebola. Il virus ebola è stato descritto per la prima volta nel 1976 vicino al fiume Ebola, in quella che oggi è la Repubblica Democratica del Congo. Il virus è altamente contagioso e ha un alto tasso di letalità: in media circa il 50% delle persone che si ammalano di febbre emorragica muore. A differenza del Coronavirus, i pazienti manifestano sintomi evidenti e immediati, questo è uno dei motivi per cui, essendo facilmente individuabile, non si diffonde come il COVID-19. Negli ultimi cinquant’anni, ad ogni modo, ci sono state oltre venti epidemie di ebola, la peggiore delle quali tra il 2013 e il 2016.

La domanda che sorge spontanea è: che cosa ci dice questa comparsa e scomparsa dei virus?
Non si può immaginare che i virus muoiano e che vengano dunque totalmente debellati dall’ecosistema, poiché essi non sono del tutto esseri viventi. I virus, infatti, sono composti da filamenti inanimati di RNA o DNA e da altre molecole; è inoltre implicito nella natura che un organismo non si estingua se si può evolvere. I virus quando si considerano latenti continuano ad infettare silenziosamente, ma non un numero sufficiente di persone per innescare un’epidemia in piena regola.

Un esempio recente: la SARS, epidemia manifestatasi per la prima volta nel distretto di Shunde, in Cina tra il 2002 e il 2004. In due anni quest’epidemia ha infettato in 29 Paesi almeno 8 mila persone uccidendone il 10%. All’inizio del 2004 sembrava che il virus della SARS fosse stato debellato, ma non fu così, il virus non scomparve, fu l’epidemia ad essere stata in gran parte tenuta sotto controllo da semplici misure di salute pubblica: test, isolamenti, quarantene, tutte pratiche messe in atto al giorno d’oggi. Isolando i pazienti malati si è potuta prevenire la diffusione di quella specifica tipologia di virus, ma altri molto simili continuano ad esistere ad esempio negli animali. La SARS-CoV-2, causa della sindrome che noi conosciamo come COVID-19, è stata identificata dagli scienziati come un nuovo ceppo di coronavirus strettamente imparentato con lo stesso virus che provocò la SARS nel 2002.
In questo panorama la questione delle varianti è importante; qualsiasi virus, quando si moltiplica, porta con sé dei cambiamenti nel proprio codice genetico: più il virus si moltiplica, più aumentano le possibilità di mutazione a livello genetico. Da inizio gennaio 2020 sono emerse moltissime mutazioni del coronavirus, alcune totalmente prive di effetto e di implicazioni, altre mutazioni, invece, messe insieme, hanno formato le cosiddette varianti, come quella inglese o brasiliana. Le varianti sono, dunque, il virus che lotta per sopravvivere attraverso delle mutazioni.

La comparsa di varianti SARS-CoV-2 è allarmante dal momento che, come altre variabili, potrebbero portare in futuro ad una grave ripresa epidemica, come nel caso dell’ebola ricomparsa in Guinea.
Una maggiore trasmissione offre maggiori opportunità per l’emergere di nuove mutazioni virali e quelle che attecchiscono spesso hanno un vantaggio evolutivo sulle difese immunitarie dell’uomo, acquisite con una precedente malattia o con un vaccino a cui la nuova mutazione si è adattata.

La fine della pandemia di COVID-19 sarà possibile solo quando i vaccini efficaci anche contro le varianti circolanti saranno distribuiti equamente in tutto il mondo. Al momento i Paesi ad alto reddito corrono per immunizzare le loro popolazioni attraverso una lotta economica e di interessi anche all’interno della stessa Unione Europea, lasciando che le varianti evolvano verso nuove mutazioni in altri Stati con meno possibilità economiche per l’acquisto dei vaccini.

Nonostante la sofferenza causata nel corso della storia dalle diverse epidemie, i virus, secondo Tony Goldberg, epidemiologo dell’Università del Wisconsin, sono essenziali per la nostra stessa sopravvivenza. Se tutti i virus scomparissero improvvisamente, infatti, le prospettive di vita per l’uomo sarebbero di un giorno e mezzo prima di estinguersi. A noi sembra che i virus esistano per devastare la nostra società e seminare morte e sofferenza. In realtà viviamo in un mondo fatto di virus di cui la maggior parte non è patogena per l’uomo; al contrario, molti di questi virus svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere gli ecosistemi e portano benefici per l’adattamento delle forme di vita sulla Terra, inclusa quella umana.