L’ultima follia: vietare il burkini in spiaggia

ietato indossare il «burkini» in spiaggia: i sindaci di Cannes e Villeneuve-Loubet (spalleggiati dal premier Valls) hanno vietato l’utilizzo di questo «costume da bagno» coprente che permetterebbe alle donne musulmane di andare spiaggia. Al di là delle costrizioni culturali e familiari che eventualmente spingono queste signore ad adottare tale comportamento, è assurdo che lo Stato si intrometta anche per dirci come dobbiamo vestirci.

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Già un abbigliamento contrario al «senso del pudore» celebra l’insensatezza della questione: come può determinare una norma qualcosa di così effimero e mutevole? Qui siamo all’opposto, e cadiamo così nel paradosso: coprirsi troppo diviene illegale. Se siamo contrari — giustamente — che queste donne siano costrette a indossare il burkini, come possiamo invece approvare che le stesse siano altrettanto costrette a non indossarlo. Il divieto è, per definizione, un «obbligo negativo» e l’obbligo è, semplificando, una costrizione esterna. Il paradosso è tutto qui: una donna può scegliere di vestirsi come ritiene opportuno, che sia in spiaggia, in montagna o in città, anche se, a nostro parzialissimo parere, quell’abbigliamento la rende «meno donna». Affari suoi: la sua libertà non limita la nostra.
L’attivista femminista Lorella Zanardo, in un’intervista per l’
Espresso, si è abbandonata a un’ideologismo cieco e deleterio quando ha affermato che «il burkini è un capo d’abbigliamento che, come il burqa e il niqab, cela in modo pesante il corpo, e soprattutto posso dire che indossarlo non è frutto di una libera scelta delle donne». Ovviamente le generalizzazioni fanno cadere il discorso nella chiacchiera da bar (la Zanardo conosce tutte le indossatrici di burkini?), e poi il paragone con burqa e niqab è davvero inconcepibile: il burkini non copre il viso e, soprattutto, sotto la vita ha le fattezze dei pantaloni. Quest’ultimo fattore sarebbe intollerabile in alcune teocrazie. Ma la femminista va avanti: «Rileggo l’articolo 3 della nostra Costituzione e chiedo al Ministro dell’Interno di riflettere su cosa significhi che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale indipendentemente dal sesso. (Vietare il burkini, ndr) non una provocazione quindi, ma un invito a rispettare i diritti delle donne tanto faticosamente conquistati. Diritti di cui possono godere anche le donne dell’Islam che giungono da noi». Difficile guardare oltre il proprio naso per la Zanardo, che esclude senza appello una donna che voglia avvalersi del proprio diritto a indossare il burkini. «Conosco donne che sostengono di indossarlo come libera scelta. Ma in questi casi penso a quella volta che mia nonna, che è del 1910, mi ha detto: “Sai Lorella, noi ci tenevamo proprio a sposarci vergini”. Era davvero una loro libera scelta? Può darsi, ma come mai dopo la rivoluzione sessuale non è più stato così? Abbiamo scoperto che forse tanto libera non era». Difficile pensare invece che in mezzo secolo siano cambiati gli usi e i costumi e, soprattutto, le persone? Il metro di giudizio sulle cose che attengono a se stesso però non deve averlo il singolo, bensì Lorella Zanardo. Ma il pressapochismo svilente di questa intervista viene fuori con prepotenza qualche riga più in basso: si parlava della sfida tra Egitto e Germania alle Olimpiadi di Rio, dell’atleta tedesca in bikini e di quella egiziana in hijab. La signora Zanardo sentenzia «L’egiziana infatti non ha scelta» ignorando che la sua compagna di squadra era in bikini.