L’inchiesta: il giornalismo è un mestiere per vecchi

Sono 11 le Scuole di Giornalismo in Italia. 11 scuole che dovrebbero far entrare i giovani nel mondo del giornalismo a un prezzo che varia dai 6mila ai 21mila euro per un biennio. Il problema è che ad aspettare questi giovani è un ambiente che è dominato dai «vecchi». L’inchiesta di WatchDogs di questo mese si concentra su questo: l’informazione non è un mestiere per giovani, visto che l’età media dei giornalisti è ben oltre i 50 anni: quasi 55 sul Corriere, 51 su La Repubblica e altrettanti sul Fatto, mentre La Stampa si ferma a «solo» 49,5 anni in media. I dati si riferiscono alle edizioni del 4, 5, 6 e 8 febbraio 2022 e riguardano unicamente gli iscritti all’Ordine dei Giornalisti.

Chi sono i giornalisti italiani

Secondo un report del 2020 dell’Agcom, nel giro di 18 anni (2000-2018) i giornalisti fino ai 30 anni sono passati dal 16,9% al 6,4%, mentre quelli tra i 61 e i 70 anni sono cresciuti dal 2,4% all’11,9%. Più di un giornalista under 36 su tre guadagna meno di 5000 euro all’anno. Probabilmente anche per ragioni anagrafiche, quasi la metà dei giornalisti ha competenze digitali considerate «basse» o «medio-basse» e a questo proposito il commento del report è davvero impietoso: «Emerge in sintesi il ritratto di un giornalista italiano che, pur in possesso dei dispositivi tecnologici (…), non sempre riesce ad utilizzare tali strumenti in maniera ampia e adeguata alle opportunità che il digitale mette a disposizione dei professionisti dell’informazione».

Il valore di una collaborazione

Proviamo a immaginarci un giovane giornalista che ha appena concluso il biennio in una scuola (che gli è costata in media 14mila euro) e che ha anche superato l’esame di Stato. Il passo successivo sono le collaborazioni, ossia essere pagati ad articolo («a pezzo», in gergo) senza alcuna garanzia, con la speranza di riuscire a ritagliarsi il proprio spazio e trovare un contratto stabile.

Secondo un articolo de il Post del gennaio 2022, questo è lo scenario (si parla di compensi lordi): sul Corriere si va da 10 a 50 euro a pezzo, a seconda della lunghezza dell’articolo; sul Quotidiano Nazionale (Resto del Carlino, Il Giorno e La Nazione) il compenso varia da 50 centesimi a 9 euro, sempre al crescere del numero di battute; La Gazzetta dello Sport offre da 8 a 28 euro, anche se con delle eccezioni per i collaboratori «storici». A pagare bene sono Domani con un compenso che va da 70 a 250 euro, il Fatto (da 30 a 90 euro) e il Foglio (da 60 a 90 euro). Quanto tempo ci metterà un giovane giornalista a rientrare del grosso investimento economico che ha sostenuto per la Scuola di Giornalismo?

È un problema anche per i lettori

L’assenza di un ricambio generazionale non è solamente un problema interno al mondo del giornalismo, bensì anche dei lettori. Ormai i giornali sono scritti da vecchi per i loro coetanei, offrendo una visione stantia e retrograda della realtà. Come possiamo avere un aiuto nell’interpretazione del mondo che ci circonda se in questa narrazione sono esclusi proprio coloro che quel mondo stanno costruendo e cambiando? Tra settembre 2020 e settembre 2021, in termini di vendite il Corriere è rimasto pressoché stabile, ma La Repubblica ha perso il 14,4% e Il Sole 24 ore ha registrato un –6,3%. Il motivo di questo calo, che ormai va avanti da lungo tempo, è solo dovuto al fatto che c’è Internet e che i lettori preferiscono informarsi in altro modo? Ovviamente no, per ragioni anagrafiche stanno sparendo piano piano i lettori dei giornali, che sono quella categoria di persone a cui i giornalisti sanno di rivolgersi.

È un problema anche per i lettori se, come dicevamo prima, un giornalista su due ha competenze digitali «basse» o «medio-basse». Significa che non riesce a sfruttare al massimo la tecnologia per migliorare il proprio lavoro. E come può una persona senza competenze digitali dare al lettore una chiave di lettura su un mondo che sta cambiando proprio a causa della digitalizzazione?

Altre forme di informazione

In uno scenario così avvilente, ha ancora senso iscriversi a una Scuola di Giornalismo e pagare migliaia di euro (nonché investire anche due anni della propria vita) per diventare giornalista? La risposta potrebbe anche essere affermativa. Perché Internet offre un’infinità di opportunità al giovane che, a differenza dei suoi colleghi più vecchi, sa maneggiare la tecnologia e sa utilizzarla a proprio vantaggio. Il web toglie la necessità di avere un giornale e un editore come medium per poter dare delle notizie: grazie ai social network, ma anche grazie a siti creati ad hoc, il giornalista può diventare lui stesso «giornale», punto di riferimento per una comunità di lettori. Lo vediamo già nel caso di persone come Andrea Scanzi, Saverio Tommasi o Nicola Porro: al di là delle loro collaborazioni con delle testate, sui social hanno numeri tali da poter essere considerati editori a sé stanti. Questo seguito, anche se non gigantesco come nei tre casi presi come esempio poco fa, può essere riversato anche su piattaforme su cui fornire contenuti a pagamento.

Da ciò parte l’approfondimento di WatchDogs di questo mese. Nei prossimi giorni usciranno due articoli della collega Betty Mammucari che approfondirà sia la gerontocrazia nei quotidiani che le possibili prospettive per un giovane che vuole comunque diventare un giornalista. Seguiteci!

Leggi l’editoriale introduttivo dell’inchiesta e della rubrica: l’importanza di produrre contenuti originali di Marco Ferreri

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