Il rigetto del liberalismo: la relazione di Pesenti in Assemblea Costituente

Nell’articolo precedente si sono analizzate le ricadute sociali del liberalismo, ponendo l’accento sulle storture della flessicurezza. Dopo l’Assemblea Costituente, dove i liberali vennero definiti da Palmiro Togliatti come «quattro noci in un sacco che vorrebbero tracciare la strada al mondo», la loro perseveranza nel sapersi riorganizzare ha posto le basi per una controrivoluzione capace di ribaltare i principi sociali ed economici sanciti nella Costituzione.
È particolarmente interessante prendere in mano la relazione in Assemblea Costituente di Antonio Pesenti, esponente del Partito Comunista Italiano capace di costruire una proposta condivisibile da tutti coloro avessero imparato la lezione impartita dalla crisi del 1929.

La relazione, intitolata «L’impresa economica nella rilevanza costituzionale», tratteggia il rigetto del liberalismo, della concorrenza, mediante uno Stato interventista che si ponga precisi obiettivi di politica economica mirando alla piena occupazione. A tal proposito, un passaggio chiave della relazione è il seguente:

«Il principio del diritto al lavoro in una società in cui sia ammessa la libertà d’investimento dei mezzi di produzione diventa un obbligo generico, una indicazione in favore di una politica di piena occupazione e di spesa pubblica, cioè di intervento dello Stato nella vita economica, con varie forme tendenti, nel loro complesso, al raggiungimento di tale meta, per quanto essa sia possibile nel sistema capitalistico di produzione e ciò in netto contrasto con i criteri informatori della politica economica della società capitalistica di concorrenza che hanno ovunque prevalso in passato».

Nella relazione, si imposta uno Stato che non si limita a regolare il mercato, ma interviene direttamente come imprenditore per creare i presupposti che portino verso il raggiungimento della piena occupazione, rendendo da formale a sostanziale l’enunciazione del diritto al lavoro. Sì, perché l’articolo 3 impone l’attivazione dello Stato per rendere effettivo l’articolo 4 sul diritto al lavoro. Si tratta di un obbligo indiscutibile. I programmi con cui raggiungere tale finalità possono differenziarsi, ma ciò che non può essere messo in discussione è l’intento politico che miri al suo raggiungimento.

Come ricorda lo stesso Pesenti:«La produzione non è fine a se stessa, ma serve per assicurare una vita degna e possibile al popolo italiano: la produzione serve cioè per l’uomo e non l’uomo per la produzione».

Si tratta di un completo ribaltamento di paradigma, un passaggio dal lavoro merce al lavoro come diritto-dovere, in cui una politica economica che miri al raggiungimento della piena occupazione funzioni creando le condizioni per innalzare il livello di benessere dei cittadini lavoratori, liberandoli dal potere ricattatorio del Capitale. Un potere ricattatorio che cresce all’aumentare della disoccupazione mediante la deflazione salariale, analizzata nell’articolo precedente.
Un ultimo appunto, centrale nel ruolo dello Stato nel controllare il mercato, viene posto da Pesenti sul concetto di proprietà in ambito d’impresa:

«È la proprietà e l’impresa che per sua dimensione o la sua posizione monopolistica assume un interesse rilevante nella vita economica nazionale, sicché non più un interesse privato o di privati ma un interesse nazionale e come tale deve essere posto sotto il controllo della Nazione».

Non si tratta di un’opzione, ma di un’imposizione, in quanto non è ammissibile, secondo la relazione di Pesenti, che tali imprese rimangano in mano privata. In particolar modo, la relazione si concentra in ambiti quali i servizi pubblici o di pubblica utilità, imprese riguardanti fonti di energia, imprese divenute fondamentali nella vita economica del Paese.
Rileggendo queste basi costituenti, la controrivoluzione liberale appare come un ribaltamento di paradigma che ha reso di fatto inattuabili i presupposti socio-economici su cui si fondammo la nostra Repubblica. Tuttavia, proprio come scrisse in apertura di relazione Pesenti, la Costituzione regola rapporti di forza già esistenti. Al ribaltamento dei rapporti di forza che portarono alla nostra Costituzione, si è lavorato per disapplicarla, talvolta tentando di scalfirla con opportune riforme costituzionali.
Serve essere consci di questo lavoro ai fianchi per tentare di limitarlo, fino al raggiungimento di un nuovo ribaltamento che rimetta nel sacco le noci liberali.