L’Afghanistan e l’immaginario americano

In Afghanistan si è materializzato il turning point decisivo di una guerra ventennale, su cui è necessario riflettere. Ai politici e agli analisti geopolitici il compito di farlo dettagliatamente. In questa sede, ci limiteremo a riprendere l’immaginario americano funzionalizzandolo al contesto in discussione.

L’immaginario americano si regge su una battaglia perenne che, per la sopravvivenza della cultura americana, non può venir meno. Nella contesa eterna, la scala di grigi scompare sostituita dalla binaria: il bianco sta al bene come il nero sta al male. Questo fondamento sviluppa tutta la narrazione del vissuto americano, dove il bene si spende impedendo al male di contaminare la Terra, puritanamente concepita come immacolata (a differenza del cattolicesimo). Da qui il compito, non solo d’identificare il nemico, ma di averlo necessariamente: in passato fu il comunismo, sostituito dal terrorismo e, nell’ultimo periodo, dall’ascesa cinese. Vigendo, nella cultura puritana, la credenza della salvezza per predestinazione, i successi nella vita vengono interpretati come i segnali divini dell’elezione, da ostentare verso l’esterno pena la credenza di «essere dei falliti». Essendo questo il ragionamento individuale, a livello di grandi sistemi si riflette l’onere di sobbarcarsi, in quanto Stato eletto perché composto da eletti, il compito immane di difendere la Terra dal male, qualunque sia la sua maschera.

La cultura americana è spazio. Esso è mediatore dei conflitti: spazio interno da difendere e purificare fino a diventarne oppressi, in ambito puritano; spazio in cui recarsi per scappare dall’oppressione dello Stato nel caso della frontiera (intesa come porzione di territorio esente da giurisdizione, dunque conquistabile). E quando lo spazio conquistabile termina? Arrivano le nuove frontiere: Hollywood, dove simulare la frontiera terminata in California; la conquista dello spazio; internet, con i suoi pionieri del web. È nella frontiera simulata, l’immaginario appunto, che si plasmano le menti all’accettazione di possibili scenari futuri.

L’essere binario dell’immaginario americano – riprendendo il dualismo tra bene e male – porta a dover dimostrare che il nemico, una volta reso manifesto per sopravvivenza, debba essere sconfitto nel contesto del «duello finale» tipico del genere western. È la guerra – che nasce dall’assenza del grigio, dal rifiuto della mediazione e del pareggio (osservare gli sport statunitensi) – declinata in più forme, l’arbitro del trionfo del bene sul male.

Ma mai attaccare per primi. L’attacco è concepito come contrattacco, come reazione a un’azione. Reazione sempre sproporzionata all’azione, dovendo il bene trionfare sul male. La guerra di matrice statunitense è spinta dalla logica puritana dello spazio circostante la propria casa: un’opera di purificazione dello spazio generata da una tentata contaminazione proveniente dall’esterno. Tale tendenza è figlia della paranoica necessità di monitorare lo spazio per averne il controllo, andata trasmettendosi anche alle culture alleate mediante guerra al terrorismo. Una volta compiuto il proprio lavoro di purificazione dello spazio, il puritano fa ritorno alla propria base sicura, la casa (qualcosa vi ricorda il baseball?).

I soldati mandati al fronte per compiere l’opera di purificazione, non essendoci mediazione, vengono letti dall’immaginario all’opposto: in caso di purificazione riuscita saranno riaccolti come eroi, proprio come i padri fondatori puritani; in caso di purificazione fallita, tendono a esser letti come ormai contaminati. Nell’immaginario, i reduci del Vietnam occupano il secondo insieme e tale sorte potrebbe toccare anche a chi ha personificato l’intervento tattico in Afghanistan. Dipenderà da come l’immaginario assorbirà la ritirata.

La logica binaria descritta non contempla fallimenti contro chi personifica il male. Per di più, se è vero che disimpegno strategico doveva essere ed è stato, è altrettanto vero che ha procurato un notevole danno d’immagine ai paladini del bene sul male, dovuto sia alla raffazzonata gestione temporale e sia all’accordo col male, che contraddice la narrativa dell’intervento e l’immaginario stesso. Ora assistiamo alle grigiastre – queste sì – giustificazioni politico-narrative sul come e sul perché di questi vent’anni:

«Voglio ricordare che l’obiettivo, quando 20 anni fa, dopo l’11 settembre, iniziò questa missione, era evitare che l’Afghanistan fosse la base per altri attacchi terroristici in America. L’obiettivo era riuscire a fermare chi ci aveva attaccati», cit. Joe Biden.

Contrattacco di purificazione, appunto. Esportare democrazia? Scherzavano, ovviamente. Anzi, scherzavamo.