Le massime conversazionali e la teoria della pertinenza

Quando parliamo con una persona c’è uno scambio di informazioni che avviene, secondo il modello del codice, tramite un processo di codifica del messaggio da parte del mittente e una conseguente decodifica del messaggio da parte del ricevente. A collegare di due soggetti c’è un canale, come può essere la voce, che permette la trasmissione del messaggio e, soprattutto, c’è un codice linguistico, che se condiviso permette la buona riuscita del processo di comunicazione. Ma siamo sicuri che la «teoria del codice» permetta una perfetta comunicazione tra due o più soggetti?

Apparentemente sì, ma solo se non prendiamo in considerazione gli aspetti impliciti, che vengono colti nella comunicazione pur non essendo stati esplicitamente esposti nel messaggio. Tali informazioni non ci arrivano dal messaggio codificato, ma da aspetti derivati, spesso presi dal contesto o compresi tramite un cosiddetto processo inferenziale che ci fa completare il messaggio esposto cogliendo gli stati mentali del mittente e facendoci arrivare al «significato del parlante». Con questo concetto intendiamo esprimere ciò che il parlante intende trasmettere ai suoi interlocutori tramite il suo messaggio, che va oltre il mero contenuto vocale, che va completato con altri elementi del contesto.

A questo punto abbiamo fatto un salto importante nella comprensione della comunicazione, passando dal modello del codice, a modelli più complessi, comprensivi anche dei contenuti nascosti, non esplicitati nell’atto comunicativo, ma comunque trasmessi all’interlocutore. Passando dalle massime conversazionali di Grice, possiamo arrivare alla teoria della pertinenza.

Distinguiamo quattro differenti massime conversazionali: quantità, qualità, relazione, modo.

La massima di quantità ci esprime semplicemente il concetto di fornire, per una buona riuscita della comunicazione, una quantità d’informazioni equilibrata, né eccessiva, né insufficiente;

La massima di qualità si sofferma sulla necessità di fornire all’interlocutore informazioni sempre verificate, delle quali si ha la certezza sulla loro veridicità; la massima di relazione ci afferma «sìì pertinente», ci ritorneremo a breve; per ultima, la massima di modo consiglia assoluta chiarezza, per evitare inutili ambiguità che potrebbero compromettere la riuscita della comunicazione.

La violazione di una o più massime conversazionali, grazie alla razionalità, non blocca la comunicazione, in quanto si può inferire ciò che il parlante intende dire. I due studiosi Sperber e Wilson criticarono la teoria di Grice proponendo la «teoria della pertinenza», riprendendo dallo studioso il concetto di pertinenza, contenuto nella massima conversazionale di relazione e costruendoci sopra una nuova teoria comunicativa.

Il loro modello si basa su due nuove nozioni: l’effetto cognitivo e lo sforzo di elaborazione. La pertinenza è dunque un equilibrio adattivo in grado di massimizzare l’efficacia del processo di inferenza – utile ad arrivare al significato del parlante – tra lo sforzo di elaborazione compiuto e l’effetto cognitivo ottenuto.

Concludiamo con un esempio: prendiamo in considerazione il fatto che Marco vada a cena in ristorante e sia intollerante alla carne di cavallo. All’interno del menù del giorno trova, tra le tante opzioni, tre differenti scelte:

 

  • Ci sarà carne

 

 

 

  • Ci sarà carne di cavallo

 

 

 

  • Ci sarà carne di cavallo o 6×7+10-2 non dà 52

 

Quale delle tre opzioni risponde meglio al principio di pertinenza, dando la miglior informazione con uno sforzo di elaborazione minore possibile? Sicuramente la seconda, che è più dettagliata della prima e non ci costringe a un’inutile valutazione matematica come la terza.