Processo Eternit: è stata solo una perdita di tempo?

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Siamo nel 2009 quando, al Palazzo di Giustizia di Torino, ha inizio il procedimento legale contro Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean-Louis de Cartier, accusati di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e di disastro doloso nei cementifici dell’Eternit. Dopo due sentenze di condanna in primo (nel 2012) e in secondo grado (nel 2013), il 19 novembre scorso la corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di appello per sopravvenuta prescrizione del reato comunque commesso.
La reazione
dei cittadini di Casale Monferrato, sede della più importante fabbrica italiana dell’Eternit, non si è fatta attendere e subito si è gridato all’ingiustizia, soprattutto dopo che il Procuratore Generale Iacoviello nella sua requisitoria ha sostenuto testualmente che Schmidheiny [il Barone era morto nel frattempo ndr] era «responsabile di tutte le condotte a lui ascritte», aggiungendo che «il giudice tra diritto e giustizia deve sempre scegliere il diritto».
Ma perché, se i casalesi continuano a morire di mesotelioma – tumore causato dall’esposizione all’amianto – il reato è stato dichiarato prescritto? In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza (che usciranno entro un mese) e dal basso della nostra conoscenza del diritto penale, proviamo a formulare un’ipotesi. Intanto Schmidheiny e de Cartier non erano accusati di omicidio quindi è ininfluente che l’amianto mieta ancora vittime nonostante la fabbrica sia stata chiusa nel 1986; e poi, facendo due conti,
quel processo non sarebbe neppure dovuto cominciare. Diciamo questo interpretando i due reati come «dissociati» l’uno dall’altro: l’omissione dolosa di cautele è punita con da 3 a 10 anni di carcere nel caso in cui – come è successo – si sia verificato disastro o infortunio, il disastro doloso invece con da 3 a 12 anni di carcere, se il disastro – come in questo caso – avviene. La prescrizione penale in Italia è calcolata da quando ha smesso a compiersi il reato per un numero di anni uguali al massimo della pena per quel reato. Quindi nel primo caso il reato era già prescritto nel 1996, mentre il secondo nel 1998.

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Proviamo però invece a pensare quei due reati come connessi: la prescrizione scatta quindi nel 2008, dopo 22 anni (10 di un reato più 12 dell’altro). E, volendo esagerare, aggiungiamoci pure quegli «eventi interruttivi» (come la disposizione dell’interrogatorio dell’indagato o la richiesta di rinvio a giudizio) che fanno ricominciare il decorso della prescrizione. Quest’ultima però non può aumentare per più di un quarto della sua durata iniziale. Quindi, ipotizzando tutte queste cose, i reati sarebbero entrati in prescrizione dopo 27 anni e 6 mesi: nel 2013. In questo ultimo caso il processo sarebbe dovuto iniziare ma la decisione della Cassazione sarebbe comunque corretta.
Speriamo di non avervi annoiato troppo con queste giravolte giuridiche in attesa della pubblicazione delle motivazioni della Cassazione. Tutto questo per dire che, se è vero il motto «Eternit ingiustizia», in questo caso è la legge ad essere ingiusta.

Tito G. Borsa