Politica, finanza, criminalità: in 3 mondi la tangentopoli fascista

Tangentopoli nera
Mario José Cereghino – Giovanni Fasanella
Sperling & Kupfer – 2016 – 18 euro

Quando c’era Lui… le cose andavano, mutatis mutandis, esattamente come vanno ora. Questa è la tesi portata avanti da Mario José Cereghino, esperto di archivi anglosassoni, e Giovanni Fasanella, giornalista investigativo. Come ogni mito, anche quello dell’assenza di criminalità durante il Ventennio è una sciocchezza: durante il fascismo, secondo molti nostalgici, si poteva lasciare aperta la porta di casa, perché l’ordine e la legalità erano così importanti da valere persino il prezzo della libertà perduta. Falso. Il mito di un fascismo incorruttibile, onesto e austero, votato alla pulizia morale contro il marciume delle decrepite istituzioni liberali è pura menzogna. Il regime, come mostrano chiaramente migliaia di carte nei National Archives di Kew Gardens, era minato esso stesso dalla stessa corruzione che si prefiggeva di sconfiggere: a Milano, tanto per fare un esempio, il segretario generale del Fascio Mario Giampaoli e il podestà Ernesto Belloni, si arricchiscono con le mazzette degli industriali e con i lavori pubblici per il restauro della Galleria, coperti dall’amicizia con il fratello di Mussolini. Lo squadrista Americo Dumini ricatta il governo con le carte sottratte a Giacomo Matteotti dopo averlo assassinato: le carte provavano tangenti pagate alle camicie nere dalla Sinclair Oil, colosso del petrolio. Politica, finanza e criminalità, tre mondi che si intrecciano proprio durante l’«immacolato» Ventennio: ruberie, estorsioni, scandali di una Tangentopoli nera tanto sommersa da essere ancora misconosciuta 7 decenni dopo. Un’immagine, come viene spiegato nell’Introduzione, completamente opposta a quella «tramandata dalla propaganda»: «la corruzione dei gerarchi in camicia nera, il marciume del regime, il malaffare sistemico». Ad averlo compreso in media res fu tra gli altri Benedetto Croce che il 3 luglio 1930 rivelò a una spia infiltrata fra i suoi collaboratori di non credere «alla veridicità dei bilanci dello Stato», perché «il Fascismo è una grande organizzazione di affaristi. Tutti pensano a rimpinguare le tasche e, quando si farà la storia di questi tempi, quello che uscirà fuori farà rabbrividire».