Inflazione, rincari e guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina ha generato in tutta Europa una forte spinta inflazionistica, la quale, oltre ad avere intensificato le problematiche relative alle materie prime per la produzione di energia, ha comportato un peggioramento generale degli indicatori economici nazionali.

Si tratta di un colpo importante per la gestione dei bilanci personali e famigliari, in quanto praticamente ogni aspetto del costo della vita è stato toccato da questo evento. Le sanzioni contro la Russia e i provvedimenti speculari da parte di Putin hanno detto la loro sui rincari del carburante, calmierati artificialmente tramite uno scostamento di bilancio, rinnovato in aprile con il Def, prima che andassero del tutto fuori controllo, ma anche i generi alimentari e di prima necessità hanno subito un forte rincaro.

Cos’è l’inflazione

La maggior parte dei peggioramenti in ambito pecuniario stanno avvenendo a causa dell’inflazione, il meccanismo economico che comporta un aumento generalizzato del prezzo dei beni al consumo. Esso s’innesca quando crisi globali come quella in corso frenano la circolazione di mercati e capitali, mandandoli in rosso. In tal caso la domanda aumenta, talvolta vertiginosamente, mentre l’offerta si contrae per l’incapacità di reperire i beni o di fornire i servizi richiesti. Così si crea una situazione in cui i pochi produttori in grado di mantenere la propria attività guadagnano molto, ma i consumatori finiscono per bruciare una buona quantità dei loro risparmi per acquistare dai una quantità inferiore di beni rispetto a periodi più floridi. In questo caso si parla di contrazione del potere di acquisto a pari quantità di valuta utilizzata.

Situazione attuale e possibili soluzioni

Nel rapporto di fine aprile 2022, la Bundesbank tedesca ha riferito che la Germania e l’Italia sono i Paesi maggiormente colpiti dall’effetto delle sanzioni da e contro la Russia di Putin, le quali porteranno i due Paesi in una recessione tecnica quantificabile tra il 2.2% e il 2.8%. Al momento, in soli due mesi dall’inizio della crisi, il PIL italiano si è contratto dello 0.5%. Il futuro della loro politica d’importazione di materie prime per la produzione di energia desta preoccupazione anche nel Fondo Monetario Internazionale, poiché, se i due stati europei perdessero la quota russa di gas naturale da un giorno all’altro, scivolerebbero in una crisi economica sostanziale che non ha precedenti recenti.

A tal proposito, durante l’audizione al parlamento di Strasburgo dello scorso 3 maggio, il premier italiano Mario Draghi ha riferito che il PIL dell’Unione Europea subirà una contrazione dal 4.4% al 2.3%, ma anche che ci si sta muovendo per trovare delle alternative all’importazione russa di gas e petrolio.

Al di là della conversione green, da portare avanti nel medio termine, sono stati individuati dei fornitori alternativi per scongiurare la penuria di combustibili: i Paesi del Nordafrica, in prima linea l’Algeria, per quanto riguarda il gas, e ovviamente gli USA per il petrolio, uno dei motivi dell’aggressività della loro campagna di propaganda bellica sulla crisi ucraina.

Infine, è da valutare l’efficacia delle manovre della BCE nel calmierare l’inflazione attraverso l’aumento dei tassi d’interesse, che è comunque previsto per giugno.